Descrizione
La Pitina IGP è un prodotto di salumeria ottenuto da un impasto composto da una parte magra (minimo 70%) di carne di ovino o di caprino o di selvaggina ungulata, limitatamente alle specie capriolo, daino, cervo, camoscio e da una parte grassa di pancetta o spallotto di suino.
Zona di produzione
La zona di produzione della Pitina IGP si estende esclusivamente nel territorio dei comuni di Andreis, Barcis, Cavasso Nuovo, Cimolais, Claut, Erto Casso, Frisanco, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto, in provincia di Pordenone, nella regione Friuli Venezia Giulia.
Metodo di produzione
Nella prima fase di mondatura, le carni vengono disossate, sgrassate e private dei tendini; quella di origine suina viene inoltre privata della cotenna e di eventuali sfilacci di grasso non compatto. Segue la fase di macinazione, attraverso l’utilizzo di piastre aventi fori di diametro compreso tra 4,5 e 7 mm. Il trito ottenuto viene allora impastato con la concia, costituita da sale marino e salgemma, aromi naturali ed erbe aromatiche. Dall’impasto così ottenuto si elaborano dei singoli agglomerati di forma sferica, del peso compreso tra i 150 e i 400 g, che vengono cosparsi in maniera uniforme con farina di mais. Segue la fase di affumicatura, di durata variabile tra quattro e 48 ore, utilizzando legno o segatura di faggio, carpine o alberi da frutto, che può essere alternata con l’asciugatura. Successivamente il prodotto è soggetto al processo di stagionatura, in ambienti muniti di aperture verso l’esterno, in condizioni di temperatura comprese tra 3 e 18°C e umidità variabile tra il 60 e il 90%.
Aspetto e sapore
La Pitina IGP esternamente si presenta di forma semisferica, di colore compreso tra il giallo dorato e il giallo bruno; al taglio il colore interno va dal rosso vivace al bordeaux carico, con la parte esterna più scura. L’impasto si presenta magro, con grana molto fine. A processo ultimato il prodotto ha un peso compreso tra 100 e 300 g. Il sapore è sapido, con un caratteristico aroma di fumo.
Storia
A raccontare la storia della Pitina sono perlopiù testimonianze orali, vista la scarsità di documentazione scritta. Un aspetto che viene spiegato dai ricercatori con il fatto che, sebbene sia la preparazione che il consumo fossero largamente diffusi all’inizio dell’Ottocento, il prodotto non veniva mai utilizzato come merce di scambio. Questo era dovuto anche al fatto che era considerata una carne povera, non consumata dai ricchi e legata all’ambito familiare popolare. La necessità di conservare la poca carne disponibile, perlopiù di origine ovina o selvaggina cacciata di frodo, ha portato allo sviluppo di tecniche di conservazione, quali l’affumicatura e la stabilizzazione con l’aggiunta di grasso suino. Il nome Pitina si è originariamente diffuso nella Val Tramontina grazie ai primi produttori: gli abitanti del comune di Tramonti di Sopra. Ed è ancora grazie a loro che dal 1969 è stata recuperata la tradizione locale organizzando la Festa della Pitina che da allora si ripete ogni anno in luglio.
Gastronomia
La Pitina IGP viene prevalentemente servita cruda e a fette, ma si presta anche a diverse cotture: nel brodo di polenta aromatizzato con ginepro e rosmarino, alla brace oppure scottata nell’aceto e servita con la polenta. Ottima è anche la tradizionale Pitina al cao, cioè cotta nel latte di vacca appena munto. Da scoprire anche rosolata nel burro e nella cipolla e aggiunta alla minestra di patate. Si abbina perfettamente con i grandi vini bianchi friulani.
Commercializzazione
Il prodotto viene immesso in commercio come Pitina IGP. Viene commercializzata intera, confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata.
Nota distintiva
Nata per conservare la carne nei mesi autunnali, la Pitina IGP deve la caratteristica di carne stagionata, ma non essiccata, tanto al particolare metodo di produzione quanto al singolare profilo climatico dell’areale, un’enclave prealpina, caratterizzata da piogge abbondanti ma dall’assenza di umidità stagnante.